La riorganizzazione delle PMI non implica solo difficili e costosi cambiamenti interni, ma un radicale mutamento delle relazioni con i clienti. Non bastano regole sanitarie, occorre ridefinire le abitudini di tutta la società. Parte da qui la riflessione del Presidente di Cna Ferrara Davide Bellotti

Gli incentivi da destinare alle imprese per aiutarle nella profonda opera di riorganizzazione interna che dovranno sostenere in vista della ripresa devono tener conto che quasi mai riaprire significherà guadagnare. Occorre perciò da parte delle Amministrazioni pubbliche un’assunzione di responsabilità nel processo di ristrutturazione della società che corrisponda alle imprese il tardato o mancato adeguamento dei servizi pubblici alle nuove necessità.
“Molti imprenditori soci di Cna – spiega Bellotti – mi hanno chiesto di sollevare un problema che in questa fase sembra passare sotto silenzio. Per tutte le aziende, grandi e piccole, la riapertura significherà una profonda riorganizzazione interna. Questo comporterà inevitabilmente costi non indifferenti e avrà importanti conseguenze sui tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, dei collaboratori e degli stessi imprenditori. Non solo, in molti casi ci sarà carenza di richiesta a causa di blocchi sociali in corso o impossibilità di rispondere alla domanda per il distanziamento sociale”.

Il motivo è chiaro: per riorganizzare un’azienda in condizioni di operare durante la Fase 2 non basta certo modificare la tabella degli orari, o esporre un cartello che rammenti a clienti e dipendenti di tenersi a distanza di un metro. Bisogna fare molto di più.

Esempi di riorganizzazione

“Provo a fare qualche esempio – spiega Bellotti – da cui dovrebbe scaturire una riflessione collettiva.
Primo esempio, la vita di spiaggia: è destinata a cambiare, almeno fino a quando il virus non sarà debellato. I balneatori Cna hanno già cominciato a lavorare sull’argomento, producendo un ottimo protocollo di sicurezza che richiede modifiche ai servizi di spiaggia, alle modalità di accesso a bar e ristoranti, alle dinamiche della prenotazione, forse anche alla quantità di personale necessario. In aggiunta l’avvio di stagione avverrà con impossibilità di muoversi tra Stati e, forse, anche fra Regioni e con gravi deficit per l’accesso attraverso mezzi pubblici.

L’esempio dei ristoranti

Secondo esempio: i ristoranti. Dovranno ridurre della metà e oltre il numero dei coperti, e attuare nuove modalità di servizio, se vogliamo che siano rispettate le distanze minime tra clienti e personale ai tavoli. Senza contare il lavoro nelle cucine, che dovrà garantire la massima sicurezza di tutto il personale. In più, la mancata riorganizzazione sociale non risponderà all’esigenza di ridistribuire la clientela in un ambito temporale più ampio. Perciò allo sforzo di rispondere alle esigenze sanitarie con il dimezzamento del potenziale di accoglienza non corrisponde uno sforzo per permettere alle persone di utilizzare in modo flessibile del proprio tempo libero o di permettere una efficace turnazione per i pasti durante il lavoro.

Le PMI della produzione

Terzo esempio, le piccole e medie aziende di produzione. Sappiamo che si dovranno distanziare le postazioni di lavoro e quindi, probabilmente ridurre il numero di quelle che possono operare in contemporanea. Quindi, per mantenere regimi produttivi sostenuti, saranno costrette a modificare i turni di lavoro dei dipendenti, forse a spalmare i turni su sette giorni invece che su cinque o sei. Non solo, dovranno ripensare le catene produttive interne, adattarle alle nuove esigenze, ottimizzarle in modo che non perdano di redditività. Probabilmente dovranno richiedere consulenze, prevedere l’intervento di esperti di organizzazione aziendale. Tutto ciò risulta (faticosamente) sostenibile per le grandi aziende, che già lo stanno facendo. Può risultare insostenibile per le piccole e medie imprese che rappresentano oltre il 90% del tessuto economico italiano. A questo enorme sforzo non corrisponde una riorganizzazione dell’intervento pubblico. E’ necessario minimizzare i costi, ridurre la burocrazia, rispondere alle esigenze di tutela dei figli e di ridisegno dei trasporti.”

Maggiori costi e mancati incassi

“Dobbiamo valutare che tutto questo comporta non solo maggiori costi ma anche mancati incassi. In una fase così difficile, le aziende non vanno lasciate sole in questo grande sforzo di riorganizzazione collettiva.”

Uno sforzo collettivo

Ci siamo sentiti dire innumerevoli volte che l’emergenza coronavirus porterà un gigantesco cambiamento nelle nostre vite, e in generale nella società in cui viviamo: “il mondo dell’impresa è pronto ad accogliere questa sfida – conclude Bellotti – a patto che il nostro sforzo sia parte integrante di una riflessione che coinvolga tutti: cittadini, pubbliche amministrazioni, politica. All’oggi, non si intravedono all’orizzonte sostanziali cambiamenti paradigmatici al di là delle parole. ”.​